Pubblicato il 12 febbraio 2020 · Categorie: Comunicazioni

Il papa con gli Indios delle tribù amazzoniche – Immagine dal WEB

Non possiamo permettere che la globalizzazione diventi un nuovo tipo di colonialismo», scrive il Pontefice denunciando le forme di sfruttamento della regione come «ingiustizia e crimine». Il “mea culpa” sulle responsabilità di alcuni membri della Chiesa e il chiarimento sull’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati: solo il prete è «abilitato a presiedere l’Eucaristia»

sinodo amazzonia Cropped

«Alle operazioni economiche, nazionali e internazionali, che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso, occorre dare il nome che a loro spetta: ingiustizia e crimine». Lo scrive il Papa nell’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata oggi, in cui Francesco ricorda che «dagli ultimi decenni del secolo scorso l’Amazzonia è stata presentata come un enorme spazio vuoto da occupare, come una ricchezza grezza da elaborare, come un’immensità selvaggia da addomesticare», ignorando «i diritti dei popoli originari, come se non esistessero, o come se le terre in cui abitano non appartenessero a loro. Quando alcune aziende assetate di facili guadagni si appropriano dei terreni e arrivano a privatizzare perfino l’acqua potabile, o quando le autorità danno il via libera alle industrie del legname, a progetti minerari o petroliferi e ad altre attività che devastano le foreste e inquinano l’ambiente, si trasformano indebitamente i rapporti economici e diventano uno strumento che uccide».

La denuncia del Papa: «È abituale ricorrere a mezzi estranei a ogni etica, come sanzionare le proteste e addirittura togliere la vita agli indigeni che si oppongono ai progetti, provocare intenzionalmente incendi nelle foreste, o corrompere politici e gli stessi indigeni». Tutto ciò «è accompagnato da gravi violazioni dei diritti umani e da nuove schiavitù che colpiscono specialmente le donne, dalla peste del narcotraffico che cerca di sottomettere gli indigeni, o dalla tratta di persone che approfitta di coloro che sono stati scacciati dal loro contesto culturale». «Non possiamo permettere che la globalizzazione diventi un nuovo tipo di colonialismo», l’appello del Papa, secondo il quale «bisogna indignarsi»per “un passato vergognoso”.

Perdono per i missionari che non sono stati «a fianco degli oppressi»

«Non possiamo negare che il grano si è mescolato con la zizzania e che non sempre i missionari sono stati a fianco degli oppressi», è il mea culpa del Papa. «Me ne vergogno e ancora una volta chiedo umilmente perdono – prosegue Francesco – non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America e per gli atroci crimini che seguirono attraverso tuta la storia dell’Amazzonia». «Ci incoraggi ricordare che, in mezzo a gravi eccessi della colonizzazione dell’Amazzonia, piena di contraddizioni e lacerazioni, molti missionari sono giunti là con il Vangelo, lasciando i propri Paesi e accettando una vita austera e impegnativa vicino ai più indifesi. Sappiamo che non tutti sono stati esemplari, ma il lavoro di quelli che si sono mantenuti fedeli al Vangelo ha anche ispirato una legislazione come le Leggi delle Indie che proteggevano la dignità degli indigeni contro i soprusi ai loro popoli e territori».

Membri «parte della rete di corruzione»

«Non possiamo escludere che membri della Chiesa siano stati parte della rete di corruzione, a volte fino al punto di accettare di mantenere il silenzio in cambio di aiuti economici per le opere ecclesiali», scrive il Papa, che esorta – sulla scorta delle proposte arrivate al Sinodo dello scorso ottobre – a «prestare particolare attenzione all’origine delle donazioni o di altri tipi di benefici, così come agli investimenti fatti dalle istituzioni ecclesiastiche o dai cristiani». Al contrario, l’Amazzonia «dovrebbe diventare un luogo di dialogo sociale, specialmente tra i diversi popoli originari, per trovare forme di comunione e di lotta congiunta», dialogando innanzitutto «con gli ultimi», che per Francesco «non sono interlocutori qualsiasi», ma «i principali interlocutori, dai quali anzitutto dobbiamo imparare, che dobbiamo ascoltare per un dovere di giustizia e ai quali dobbiamo chiedere permesso per poter presentare le nostre proposte».

«L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia»

«L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia», ribadisce il Papa, facendo presente che «il grido dell’Amazzonia raggiunge tutti, perché l’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come “risorsa” rischia di minacciare l’ambiente come “casa”». «L’interesse di poche imprese potenti non dovrebbe esser messo al di sopra del bene dell’Amazzonia e dell’intera umanità», il grido del Papa, secondo il quale «la soluzione non sta in una internazionalizzazione dell’Amazzonia», in nome degli «enormi interessi economici internazionali», oltre che di quelli di imprenditori e politici locali. In questo contesto, «diventa più grave la responsabilità dei governi nazionali» e risulta «lodevole l’impegno di organismi internazionali e di organizzazioni della società civile che sensibilizzano le popolazioni e cooperano in modo critico, anche utilizzando legittimi sistemi di pressione, affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali».

Sacramenti accessibili anche a «comunità più remote»

I sacramenti «devono essere accessibili, soprattutto ai poveri, e non devono mai essere negati per motivi di denaro», scrive il Papa, definendo inammissibile «di fronte ai poveri e ai dimenticati dell’Amazzonia, una disciplina che escluda e allontani, perché in questo modo essi alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogana». Di qui la necessità dell’inculturazione, che «deve anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità. Occorre far sì che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste», la proposta di Francesco: per «ascoltare il lamento di tante comunità dell’Amazzonia private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo», c’è bisogno di «ministri che possano comprendere dall’interno la sensibilità e le culture amazzoniche».

Solo il prete «abilitato a presiedere l’Eucaristia»

Solo il sacerdote può dire: «Questo è il mio corpo». E dunque solo lui è abilitato a «presiedere l’Eucaristia». Nel quarto e ultimo capitolo dell’esortazione apostolica post-sinodale, dedicato all’aspetto pastorale, il Papa fuga definitivamente ogni dubbio sull’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati, per supplire alla carenza di clero, avanzata nel corso del Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre scorso. «Ciò che non può essere delegato», nell’esercizio del ministero sacerdotale, è proprio l’essenza dell’ordine sacro, che «configura» il prete a «Cristo sacerdote». «Tale carattere esclusivo ricevuto dall’Ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile». Ci sono altre parole, ricorda Francesco, che «solo lui può pronunciare: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”. Perché il perdono sacramentale è al servizio di una degna celebrazione eucaristica. In questi due Sacramenti c’è il cuore della sua identità esclusiva».

Vescovi «più generosi» nel mandare preti

In Amazzonia, «specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale», un’urgenza emersa a più riprese durante il Sinodo dell’ottobre scorso. «I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro – prosegue Francesco -. Ma hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia, perché essa fa la Chiesa». Una «pressante necessità», quella di sacerdoti che celebrino l’Eucaristia, che porta il Papa a esortare «tutti i vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia». Nello stesso tempo, secondo Francesco, «è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche».

«Responsabilità importanti» a diaconi, religiose e laici

«C’è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia – le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell’esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento», sono le indicazioni pastorali contenute in Querida Amazonia. «Non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia – puntualizza Francesco -. Abbiamo bisogno di promuovere l’incontro con la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e pratica – e vari percorsi di formazione permanente». «Una Chiesa con volti amazzonici – scrive il Papa – richiede la presenza stabile di responsabili laici maturi e dotati di autorità, che conoscano le lingue, le culture, l’esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi». «È possibile – aggiunge il Santo Padre in una nota, sulla scorta del Codice di diritto canonico – che il vescovo affidi a un diacono o a una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia». «Permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale», il «sogno» del Papa per l’Amazzonia, «attraverso un nuovo incisivo protagonismo dei laici». Il modello indicato è quello delle «comunità di base», che «quando hanno saputo integrare la difesa dei diritti sociali con l’annuncio missionario e la spiritualità, sono state vere esperienze di sinodalità nel cammino evangelizzatore della Chiesa in Amazzonia».

Alle donne «funzioni e servizi che non richiedono l’ordine sacro»

«In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio», è la proposta del Papa, che sottolinea che «tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo». «Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità – la tesi di Francesco -, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile». Nel testo, infatti, il Papa mette in guardia dal «riduzionismo» che «ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro». «Senza le donne» la Chiesa «crolla», l’omaggio di Francesco, «come sarebbero cadute a pezzi tante comunità dell’Amazzonia se non ci fossero state le donne, a sostenerle, a sorreggerle e a prendersene cura».

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